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La scelta non è tra futuro e passato. La scelta è tra tempo e nulla. Se si sceglie il tempo, si racconta. Se si sceglie il nulla, si tace per sempre. Perché raccontare significa innanzitutto contare: mettere in fila gli eventi, dividere gli istanti in un prima e in un dopo, dare un senso al caos dell’esperienza su questa terra informe.
La Storia inizia con la prima parola scritta, e finirà con un foglio bianco. La Storia inizia cioè con l’ambizione che differenzia la nostra specie da tutte le altre: durare al di là di noi stessi. La scrittura è un al di là in formato alfanumerico.
La Storia, un coro sussurrato di penne che cantano il tempo su pagine e fogli, un antico balletto di lettere diretto dalla punteggiatura: parole che si bloccano per una domanda e poi ripartono con la rinnovata sicurezza di una maiuscola, parole che indugiano per una virgola, parole che dopo un accapo si buttano nell’abisso del loro domani.
Nell’era digitale, oggi che i testi possono essere riprodotti all’infinito e vagare illimitatamente nel cyberspazio. Carta e penna preservano la fragile bellezza di tutto ciò che invece non è replicabile. L’inclinazione delle “l”, gli arzigogoli delle “g”, le sbavature d’inchiostro, la distanza tra le parole. Ecco le impronte digitali della personalità umana. Noi non abbiamo un corpo: noi siamo dei corpi. Esposti a intemperie e ferite, corpi che si sciupano, corpi da custodire. Pineider si prende cura della nostra essenza, unica e mortale. Il digitale è il regno immutabile dell’anonimato, la scrittura manuale quello delle singolarità irripetibili.
Scrivere un semplice biglietto diventa così un gesto eversivo, una rivendicazione di unicità. Impugnando una penna ci esponiamo al rischio della perdita, ci votiamo alla certezza del mai più. E questa decisione, che si ribella al meccanismo della serialità, corrisponde all’autentico lusso.
Enrico Dal Buono